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I primi anni del Premio Ozieri

 

Ozieri, Settembre 1956, Festa di Nostra Signora del Rimedio. Debutta il “Premio Ozieri di poesia in lingua sarda”. Il maestro Tonino Ledda, poeta in lingua italiana, ne è il segretario fondatore. Le gare dei poeti estemporanei erano state istituzionalizzate, proprio a Ozieri, sul finire dell'Ottocento dal poeta Antonio Cubeddu. Proibite in periodo fascista, erano venute meno e quasi scomparse. Ledda intende muoversi sulla scia di questo interesse mai del tutto spento e per riattivarlo ha istituito un concorso per la poesia scritta in lingua sarda. La giuria, composta da esperti locali, è presieduta dal prof. Domenico Masia. Il segretario, nel verbale della riunione, “ringrazia i cinquanta poeti dialettali che da tutta l'isola e dalla penisola, hanno voluto partecipare e riconosce con piacere in molte poesie un distacco dalla tradizionale “Arcadia”… e un deciso convergere di poeti, verso un sano realismo ed una espressione fresca e densa di naturalezza”. La giuria si propone insomma di rompere con la tradizione sia della poesia orale sia della poesia scritta che impiega un repertorio formale di strofe e di rime senza liricità e quasi ossificato. Tra i segnalati ci sono anche poeti giovanissimi: Salvatore Farina e Beatrice Pirastru, appena diplomati dall' Istituto Magistrale. I vincitori sono invece poeti già noti al pubblico: Nanni Marchetti, Giovanni Antonio Cossu, Giuseppe Raga.

Nella seconda edizione del 1957 presiede la giuria Francesco Masala di Nughedu San Nicolò, professore nell'Istituto Magistrale di Sassari, ma anche poeta. Ha acquistato fama, al rientro dal fronte, come poeta e come narratore, sempre in italiano, della tragica epopea della ritirata nella neve della steppa russa. Masala, passato anche lui dall'ermetismo ad un “sano realismo”, rafforza la linea del segretario. Il verbale mette in rilievo il notevole e lusinghiero successo. I partecipanti e i componimenti sono cresciuti di numero, ma su troppi grava una censura: “l'influsso dei rimatori e improvvisatori delle così dette gare poetiche paesane”.

Si invita pertanto “tutta la nobile categoria degli autori in lingua sarda ad abbandonare definitivamente le esercitazioni versaiole, ed a considerare la poesia come un fatto lirico, con le componenti insostituibili di sentimento e fantasia. Non a caso la Sardegna è, forse, l'unica regione italiana che non abbia dato il grande poeta dialettale alla storia della letteratura italiana; mentre la poesia è nutrimento naturale del popolo sardo, come dimostrano gli stupendi canti anonimi popolari (ninne – nanne, muttos, attitidos, canti d'amore, di morte, di lavoro)”. Insomma, in questi giudizi, al di là della poco chiara definizione della poesia sarda come poesia dialettale (che rispecchia piuttosto la errata considerazione che si aveva della lingua sarda), nonostante il realismo professato da presidente e segretario, si avverte chiarissima l'egemonia della concezione assoluta della poesia propria dell'estetica idealistica di Benedetto Croce. Nella scuola nazionalista e fascista, che ha imposto l'italiano, la lingua sarda viene considerata come un dialetto, in una accezione negativa perché distingue un livello sociale diverso da quello di chi impiega la lingua italiana comune, che ancora non tutti i sardofoni parlavano bene. Inoltre la concezione crociana considerava negativamente il folklore e la poesia popolare che distingueva dalla poesia riflessa. Così la tradizione poetica in lingua sarda era sotto accusa.

Nella terza edizione del 1958 e nella quarta edizione del 1959, aumentano i partecipanti e ancora di più le poesie. Nella giuria compaiono ormai esperti di maggiore competenza letteraria dei precedenti, come Mario Mossa Pirisino (Capo dell'ufficio stampa della Regione), Carlino Sole (docente universitario), Gavino Pau (preside a Nuoro). Il verbale continua tuttavia a ribadire che “la produzione dialettale non ha subito, l'auspicata, vigorosa spinta innovatrice” e domina, “da decenni, il manierismo e l'abilità tecnica”. Eppure sono comparsi insieme ad autori già noti come Forico Sechi, Giovanni Antonio Cossu, Salvatore Corveddu , Antonio Palitta, altre sicure promesse, come Predu Mura e Ubaldo Piga. Nei relativi verbali, in particolare in quello del 1959, si prende atto dell'impegno in una “maggiore ricerca di contenuti e di stile” anche se si riscontrano i deprecati difetti rimarcati nelle precedenti edizioni. Si ravvisa insomma una malcelata delusione, anche se sono presenti testi di straordinaria rilevanza letteraria.

Nella quinta edizione del 1960 la giuria viene ulteriormente integrata. Compaiono Antonio Sanna, Manlio Brigaglia e permangono il presidente Francesco Masala, Gavino Pau e Mario Mossa Pirisino. Finalmente Predu Mura, che già ha partecipato a tre sessioni, riceve un giudizio che ne illustra le qualità poetiche. Altrettanto avviene per gli altri premiati. Il premio comincia insomma a procedere su nuovi binari e ad esercitare il suo ruolo di riscontro critico e di magistero formativo. Si affacciano Giovanni Fiori e Giulio Cossu, Giovanni Maria Dettori e Pietro Mazza. Due giovani e due veterani.

Nella sesta edizione del 1961 anche le fotografie appaiono più chiare e nitide come le presenze nella giuria. La didascalia della foto – ricordo, pubblicata nella raccolta Poesia in Sardegna 1956 – 1967 (Fossataro Editore), recita : “ tra i premiati, il Prof.. Antonio Sanna, Presidente della Giuria al centro. A fianco il segretario Tonino Ledda. Da sinistra in alto Pietrino Serra di Tempio: menzione d'onore; Ilia Pisano Cossu di Tempio: 1° premio; Salvatore Corveddu (Grolle) di Nughedu: 2° premio; Ubaldo Piga di Sassari: 3° premio; Antonio Palitta di Pattada: 4° premio; Giovanni Fiori di Ittiri: segnalazione; architetto Antonio Simon Mossa (Alghero): menzione speciale”. La giuria ha ormai un assetto vario e articolato di competenze e impiega categorie concettuali più chiare ed efficaci. Antonio Sanna compare come incaricato di Linguistica sarda all'Università di Cagliari; Gavino Pau come preside dell'Istituto Magistrale di Nuoro; Alfredo Deffenu come presidente onorario alla Corte suprema di Cassazione; Manlio Brigaglia come giornalista; Giuseppe Pisano come pubblicista (membri), e insegnante Tonino Ledda, segretario.

I concorrenti sono ormai 106 e gli ammessi che hanno rispettato le norme del bando 78. Ora finalmente il verbale comunica segnali di ottimismo: “Nella produzione poetica esaminata la giuria intravede chiaramente i sintomi di un netto miglioramento della poesia dialettale sarda nei confronti delle precedenti edizioni. Con particolare compiacimento rileva il definitivo abbandono da parte dei poeti sardi delle forme più insincere di espressione legate a richiami mitologici ed arcadici e ai più retorici sentimentalismi in rima, e sottolinea l'impegno nuovo che si è appalesato nei tentativi di un'interpretazione vissuta e sofferta delle realtà umane”. Sono cenni chiari di un esercizio della critica che acquista sempre maggiore consapevolezza del suo ruolo e dei suoi strumenti. Ha inizio insomma un dialogo che si rivela già proficuo e produttivo, non fosse per altro che per la manifesta tendenza a rinnovare sia l'idea della poesia sia gli strumenti per giudicarla.

Altre novità riserva la settima edizione del 1962. Viene istituita per la prima volta la sezione di poesia algherese ed entra nella giuria l'architetto Antonio Simon Mossa. Il suo apporto si riscontra non solo nella sua competenza della lingua e della letteratura catalana, ma anche dei linguaggi non verbali in generale dall'architettura alle altre arti del dominio della visione. Il suo discorso sull'autonomia si basa decisamente sulla diversità delle lingue e dei linguaggi nazionali. Si deve inoltre considerare che è stato uno dei pochi architetti a proporre modelli architettonici che interagivano con i modelli architettonici del contesto locale.

Tra le poesie migliori è emersa quella di Predu Mura che, avendo avuto il primo premio l'anno precedente, viene premiata fuori concorso, ma con questo giudizio “Specialmente nella poesia L'hana mortu cantande il poeta, evadendo da facili manierismi a cui il tema della uccisione a tradimento d'un uomo che può portare, rivela singolarissime capacità drammatiche e una efficacia di parole ed immagini davvero sorprendenti”. Premiati Ubaldo Lai di cui si dice: “La riuscitissima lirica ci rivela un autore esperto e cosciente, in continuo affinamento, padrone capace della lingua e della sua efficacia rappresentativa”. Premiato Giulio Cossu, che ha convinto i giurati poiché le sue poesie “dimostrano una dimestichezza affettuosa con l'arte e la poesia in particolare, un esercizio continuo di sensibilità sempre acuentesi, e il dono di una vena idillica pensosa, che conserva il rapporto natura – sentimento, caratteristico della grande poesia gallurese, arricchendolo di una calda e modernissima soggettività”. Vengono segnalati anche i poeti algheresi Antonella Salvietti, Pasquale Scanu, Angel Cao e Rafael Sari, che ha inviato fuori concorso “un suo validissimo lavoro inedito Sonni de Sardinia , premiato con una Menzione d'onore”.

Insomma il Premio che aveva debuttato nel 1956 ha finalmente decollato. Sono collaudate le linee di tendenza del progetto complessivo, le sezioni e le regole destinate a promuovere il “dolce stil nuovo sardo”. E il modo in cui sono formulati i giudizi è la prova che quando esiste un ascolto, cioè un orecchio linguisticamente e letterariamente competente, anche la produzione poetica e letteraria migliora. Permane ancora la definizione della poesia sarda come poesia dialettale, ma già compaiono concetti e categorie che denotano una maggiore competenza linguistica nuova, che già prelude a quella delle “lingue tagliate” delle minoranze e a una sensibilità diversa circa il ruolo svolto sinora dalla poesia cosiddetta dialettale rispetto alle lingue nazionali. Acquista infatti una accezione nuova che viene definita “neodialettalità”. Questa denota un impiego del dialetto non più come una necessità di chi ignora l'italiano, ma come una volontaria e deliberata scelta stilistica.

Questa nuova atmosfera è evidente nell'atteggiamento del pubblico che si scorge nella fotografia dell'ottava edizione del 1963: “Un aspetto del salone della Casa del Combattente di Ozieri dove si svolge tradizionalmente la cerimonia di premiazione, gremito di folla. In prima fila (da sinistra) si possono notare, i poeti Pietro Mura (con la coppa del Presidente della Regione Sarda); Antonio Palitta: 1° premio; Rafael Sari: 2° premio sez. algherese; Faustino Onnis di Selargius: 2° premio sez. sarda; Cesira Carboni Aru di Cagliari : segnalazione; Ilia Pisano Cossu di Tempio; la moglie del poeta Cesarino Mastino di Sassari: 3° premio sez. sarda; Antonella Salvietti di Alghero: 1° premio ”.

Tra le due poesie presentate da Predu Mura, “si leva personalissimo e potente ( Fippo operaiu ‘e luche soliana ) l'anelito pieno di speranza del poeta e del sardo, in un futuro più buono… Il poeta nuorese , in Annuntzia chi est bennia s'aurora , riprende idealmente il canto augurale del suo concittadino Satta sui destini della sua terra, già vede, in un commosso atto di fede, una nuova vita di pace, lavoro, prosperità, per la sua Isola amata, ed un domani per sé e per tutti migliore”.

L'enfasi posta dalla giuria sulle speranze ispirate dal Piano di Rinascita sminuisce l'importanza della odissea de “rimas nobas” che ha proposto Predu Mura, nella sua poesia che avrà una straordinaria e crescente efficacia modellizzante. Come già succede per tutte le sue poesie premiate, destinate a rinnovare ed allineare la lingua poetica sarda alla lingua poetica contemporanea italiana ed occidentale.

Si rinnova il canone della comunicazione letteraria in Sardegna poiché proprio con l'immissione nel sistema linguistico e letterario sardo delle sue poesie si rafforza l'automodello sardo e si raggiunge il traguardo di un vero e proprio bilinguismo letterario sardo – italiano. L'informazione, in quegli anni, sia dalla carta stampata che della radio, accompagna e segue le vicende del premio e ne diffonde di buon grado i messaggi. Il premio diventa punto di riferimento di quanti, in un momento in cui la scuola e i media tendono all'omologazione italianizzando i Sardi, ancora tengono alla propria identità e quindi alla proprie tradizioni. I verbali grondano giustamente di soddisfazione e possono affermare che i moduli delle rime e delle strofe tradizionali non sono forme inerti ma possono anche produrre risultati liricamente rilevanti. Davvero Predu Mura è riuscito a coniugare la tradizione poetica sarda con la lingua poetica contemporanea da Omero a Dante, da Garcia Lorca a Ungaretti, a Quasimodo: Gai fortzis su sole / in custa die de chelu / est benniu a cojubare / frores de neulache / chin fruttos de melalidone . Questa produzione letteraria segna l'avvio di quella ripresa della cultura artistica sarda nel suo insieme che non solo ha guadagnato continuamente consensi ma ha posto le premesse di quel ribaltamento della rappresentazione dell'Isola che la ha inserita nell'immaginario collettivo europeo e nel circuito mediatico internazionale.

Questo risultato è venuto dal nulla o era stato annunciato? Appena qualche cenno.

A Ozieri è nato Matteo Madao (Ozieri 1723 – Cagliari 1800?) che ha scritto in italiano due volumi, Saggio di un'opera intitolata Il ripulimento della lingua sarda lavorato sopra le sue analogie colle due matrici lingue la Greca e la Latina (Cagliari 1782); inoltre Armonie dei Sardi (Cagliari 1787). In questa egli si propone di far conoscere alla comunità scientifica del Regno Sardo, che comprendeva anche gli stati piemontesi dei Duchi di Savoia e poi a tutta la comunità scientifica europea, il patrimonio di poesia orale e scritta del popolo sardo in lingua sarda. Non si deve dimenticare che il Regno di Sardegna, col trattato di Londra, è stato attribuito ai Savoia, ma che prima faceva parte della Confederazione dei Regni di Aragona e di Castiglia. La lingua sarda era una delle lingue dell'albero romanzo che Dante nel De vulgari eloquentia definiva “ simia linguae latinae ”, cioè scimmia del latino, quella tra tutte più simile al latino. Matteo Madao intende dimostrarlo scrivendo una poesia alla Vergine che al tempo stesso è scritta in lingua sarda e in latino.

I linguisti moderni, non sempre sono buoni amici delle lingue che i poeti usano per comunicare simbolicamente il loro comune e individuale sentire, hanno criticato dal punto di vista delle loro teorie la posizione di Francesco Ignazio Mannu. Eppure non si può non riconoscere che Matteo Madao, in un'epoca dominata, anche troppo dalle ideologie, anche in fatto di lingue, insistendo sulla quasi perfetta somiglianza col latino, intendeva forse valorizzare politicamente la lingua della nazione sarda per presentare all'Europa il patrimonio di oralità e di scrittura di un popolo che viveva in un'isola considerata selvaggia, ma che aveva una cultura che aveva ereditato dalla Roma repubblicana e imperiale. Il suo proposito era quello di far acquistare così prestigio alla lingua sarda e di ricollegarsi inoltre al proposito della Chiesa della Riforma cattolica, di rivolgersi ai popoli cristiani di tutti i continenti nella loro lingua.

Altro personaggio ozierese importante è Francesco Ignazio Mannu (Ozieri 1758 – Cagliari 1839). Ha esercitato l'avvocatura a Cagliari e durante il triennio rivoluzionario sardo (1793 - 1796), è stato avvocato dello Stamento militare, particolarmente attivo nel rivendicare l'autonomia del Regno sardo e l'abolizione dell'anacronistico sistema feudale. Tra la fine del 1795 e gli inizi del 1796, ha composto, l'inno “Su patriota sardu a sos feudatarios”. Più noto come, “Procurade ‘e moderare”, è un canto di lotta contro il feudalesimo e la sintesi poetica dei progetti e delle aspirazioni del popolo sardo, protagonista della rivoluzione angioiana. Al termine di questa seguì la carriera di magistrato e fu giudice della Reale Udienza e del tribunale del Consolato. Non fu né volle essere un giacobino, fu un moderato che intendeva attuare i principi costituzionali della “divisione dei poteri”. Sostanzialmente egli esprime il sentimento di ribellione contro le ingiustizie di chi, in qualsiasi posizione di potere si trovi o sia riuscito a collocarsi, infrange la legge e diviene un tiranno (custos tirannos minores / est precisu umiliare). Francesco Ignazio Mannu si è rivolto al popolo sardo in lingua sarda. Non più di sessanta anni dopo la sua morte, un poeta come Sebastiano Satta, si rivolgerà al popolo sardo in italiano.

Nicola Tanda